E' un sogno ricorrente.
Una storia mai scritta e sempre vissuta.
Attimi che sanno di salsedine, di venti impetuosi, che si fondono con bonacce assillanti.
La sensazione della presenza costante di ciò che non aspetti.
Nello splendore dei pomeriggi assolati, delle albe arrossate, come i tramonti, contro i quali ti stagli, come un'ombra ritagliata nel tempo.
Una situazione che sa di storia e leggenda, di battaglie e di maledizioni, di fantasmi relegati in zattere alla deriva, senza altro compagno che il suono assillante del mare.
Un silenzio assoluto che sa di isolamento.
Un navigare incredibile, mosso solo dal destino e dalle correnti.
Un navigare non più controllato da un timone impazzito.
E persino i gabbiani non si riflettono nella porzione di mare che è il tuo confine.
Sugli alberi corrosi pendono stracci, una volta gloriosi.
Tele che sanno di guerre, sempre combattute e mai risolte.
Di feroci arrembaggi e allegre spartizioni di un bottino, sempre fiorente. Di un qualcosa di abbandonato.
Forse, nelle stive impregnate di sale e di essenze misteriose, esiste ancora il premio raggiunto di spedizioni trascorse.
Ma è relegato, anche lui, alla maledizione che la tua essenza, la tua inaffondabilità.
Perché è impossibile un arrembaggio, rifuggi ad ogni uncino, mantenendo sempre uguale distanza dagli occhi di chi ti vede, o ti sogna.
Sempre apparentemente immobile nella controluce che è il tuo mondo.
Un mondo di apparizioni impossibili al di là dei tempi e dei nodi, come un vero rimpianto che ricordi le sue epoche migliori, trascorse in assalti che della sorpresa facevano l’arma migliore.
Eppure, a volte, ti scopri, e, sorto dal nulla, tagli la prua dei nostri pensieri distratti, lasciando che l’inerzia dei sentimenti ti permetta la fuga.
E in quei momenti eroici in cui riscopri il contatto, lasci vedere i ponti corrosi, dal tempo e dal sale, i cannoni alzati, in un fuoco fittizio che sa di ribellione.
E il timone che gira, da solo, in un incessante moto che sa di perpetuo.
E, fuggendo, appare una lanterna inchiodata oscillante sul cassero, o sulla poppa.
Una lanterna che sa di porti sicuri, di anse solitarie in cui le zattere correvano veloci tra la riva ed il tuo ventre.
Ma negli istanti delle tue apparizioni notturne scopri l’incredibile miraggio della lanterna che accesa.
Luce continua che non sai se sogno o finzione, presagio o conseguenza di un destino beffardo, unica ragione del tuo perpetuo navigare.
E tra i coralli incantati, le isole non ritrovate, le pergamene perdute, che sanno di tesori nascosti o di galeoni affondati, tu beccheggi e avanzi, imperturbabile, schivando scogli affioranti, superando tempeste e bonacce, sfruttando l’esperienza di chi naviga, ormai senza una meta.
Ma, forse, la ragione sottile del tuo malizioso esserci, in un gioco fantastico di apparire e scomparire, in un mare ormai troppo stretto e familiare, sta proprio in quelle vele lacere e usate che sanno di libertà.
Perché tu, incubo e presagio, sogno o visione, riporti sempre il pensiero dei gabbiani abbandonati, delle isole perdute, delle onde infrante sugli scogli e mai più ricostruite, in gioco sottile, che neanche il mare può capire...