Olimpiadi del Messico - 1968
Ci sono scatti che fissano momenti unici, destinati a diventare simboli storici.
Queste immagini col tempo diventano icone e questa è una di quelle.
Una delle foto più famose del 900.
Siamo a Città del Messico nel 1968, durante le Olimpiadi.
E il 16 ottobre e si è conclusa da poco la finale di 200 metri.
Il 1968. Un anno simbolo, durante il quale tutto il mondo è percorso da fermenti di lotte, idee, rivoluzioni, campagne per i diritti civili e selvaggie oppressioni, a est e ad ovest.
Negli Stati Uniti d'America il movimento hippy aumenta l'attività di lotta contro la guerra in Vietnam e si unisce alle battaglie della popolazione di colore per l'ottenimento dei più elementari diritti civili e la fine della segregazione razziale, ancora ben radicata nella società statunitense.
Alfiere di questa lotta è un pastore Battista, apostolo della non violenza, Martin Luther King, che verrà assassinato il 4 Aprile. Due mesi dopo, il 5 giugno, verrà ucciso Bob Kennedy, probabile futuro presidente americano.
Questo clima di pacifismo, odio, violenza trova il suo suggello proprio in Messico, paese organizzatore dei Giochi Olimpici, quando, il 2 ottobre, 10 giorni prima dell'inizio delle gare, il governo risponde alla manifestazione studentesca che si sta svolgendo in piazza Tre Culture chiudendone gli accessi e sparando sulla folla dagli edifici e con gli elicotteri.
Le centinaia di morti, non sapremo mai il numero, non saranno motivo per rimandare le Olimpiadi.
Ma torniamo al 16 ottobre e alla gara dei 200 metri vinta da Tommy Smith, americano, col tempo di 19 secondi e 83 centesimi, record del mondo. Al secondo posto l'australiano Peter Norman, al terzo un'altro americano, John Carlos.
Lui e Tommy sono due neri.
Molti atleti di colore hanno deciso, dopo l'uccisione di Luther King, di non partecipare. Loro, pur aderendo al movimento contrario alla partecipazione, il movimento denominato Olympic Project for Human Rights, il cui motto recita "perché dovremmo correre in Messico solo per strisciare a casa?" Hanno deciso di esserci e di vincere e vincendo daranno luogo a una delle più emozionanti contestazioni della storia dei giochi.
Si presentano alla premiazione con la coccarda dell'Olympic Project sul petto, i piedi scalzi come simbolo di povertà e indossano nella mano un guanto nero, simbolo del potere nero.
Tommy porta al collo una collanina di piccole pietre, una per ogni negro linciato.
Anche Norman, il secondo arrivato, colpito dal gesto, vuole contribuire e si appunta sul petto lo stemma del movimento per i diritti umani.
Quando l'inno inizia a suonare e la bandiera a Stelle e Strisce si alza lungo il pennone, loro abbassano lo sguardo e alzano il pugno al cielo.
Il loro gesto di protesta e denuncia va in onda in diretta, in mondo visione, inarrestabile.
L'azione generale del potere sportivo è una grande riprovazione. I due atleti furono sanzionati e allontanati dal villaggio olimpico. Al loro ritorno negli Stati Uniti saranno perseguitati e minacciati.
Ma niente può scalfire la potenza e la bellezza di quell'immagine, ormai consegnata alla storia dell'umanità. Questo è uno di quei gesti forti e simbolici che sarebbero piaciuti al reverendo King.
A proposito, la sua morte fu celebrata da tanti autori in molte canzoni. Uno di loro è un pianista cantante di blues, si chiamava William Thomas d'Aprì, meglio conosciuto come Champions Jack d'Aprì. Nato all'inizio del 900 da padre africano e madre Cherokee, imparò a suonare il piano da bambino a New Orleans e da allora non smise più. Girò tutto il mondo e morì nel 1992 in Germania.
A proposito del razzismo amava ripetere: "Quando apri un piano vedi la libertà. Nessuno può suonare i tasti bianchi e non quelli neri. Hai bisogno di entrambi insieme per generare armonia e quello di cui tutto il mondo ha bisogno è armonia.