Kevin Carter

La foto è forte, fortissima, cruda, angosciante, terribile.

Una volta che l'hai vista non la scordi più.

Ritrae un bambino africano di pochi anni, accovacciato, rannicchiato, nudo, la grossa testa appoggiata su un corpo magrissimo, inesistente, scheletrico.

Non riesce più a reggersi. Appare immobile, con i gomiti e le braccia appoggiate sulla terra, tra piccoli sassi, qualche ciuffo di erba gialla. Dietro di lui, per terra, a pochi passi, si trova un avvoltoio che lo guarda e aspetta.

Non è un fotomontaggio e neanche l'immagine di una campagna pubblicitaria.

La foto è vera.

Siamo in Sudan nel Marzo del 1993, durante una delle tante e continue carestie.

È scattata dal fotoreporter Kevin Carter, sudafricano nato nel 1960 a Johannesburg, approdato alla fotografia anche per documentare e lottare contro l'apartheid, le ingiustizie e le violenze.

La foto verrà pubblicata per la prima volta il 26 Marzo del 1993 sul New York Times e diventerà icona e simbolo dell'Africa devastata.

Nel 1994 sarà l'immagine vincente del premio Pulitzer.

Probabilmente la foto più bella tra quelle realizzate da Kevin e sicuramente è quella che lo angoscierà maggiormente, contribuendo ad acuire il suo senso di nausea per la vita e la depressione che lo porterà al suicidio.

Quello scatto scatenò un grande dibattito sul lato etico della professione di fotoreporter ed un'enorme quantità di critiche colpirono l'autore.

Molte sono le foto che hanno immortalato attimi drammatici, terribili, disumani. Ma l'atto dello scatto era immediato e il fotografo inserito nel teatro dell'azione, che spesso si sarebbe dimostrata mortale anche nei suoi confronti.

Ma la foto del bambino, distrutto dalla carestia, deformato da denutrizione, guardato a vista dell'avvoltoio in paziente attesa, non era stata scattata nel concitamento di avvenimento.

No, in questo caso, il fotografo ha inquadrato con calma, ha messo a fuoco e poi ha scattato.

Questo agire di Kevin farà dire a molti che sul luogo gli avvoltoi erano due e il più terribile, era lui: il fotografo.

L'affermazione non tiene conto che in realtà la foto dell'avvoltoio fu scattata vicino a un centro di assistenza ai profughi dell'ONU. Dove il bambino fu curato e sopravvisse alla carestia.

E in ogni caso, il 27 luglio del 1994, pochi mesi dopo la vittoria del Pulitzer, Kevin porrà fine alla sua vita suicidandosi, incapace di sopportare ancora il carosello di immagini che aveva visto.

Aveva 33 anni. Ha lasciato un messaggio in cui si legge: "sono ossessionato dai ricordi vividi di omicidi e cadaveri e rabbie e dolore. Di morire di fame, di bambini feriti, di pazzi dal grilletto facile, di carnefici assassini."

Kevin fu accusato di aver fotografato anziché aiutare, ma è grazie al suo lavoro, e a quello di tutti i Kevin Carter che hanno il coraggio di riempire di incubi la loro vita fino a impazzire per darci queste immagini, che noi, comodamente seduti nelle nostre case, prendiamo coscienza e, a volte, riusciamo a far cambiare le cose.



Kevin Carter's Photograph




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